L’acqua che mangiamo spiega con un approccio multidisciplinare le problematiche idriche e le sue implicazioni economiche, sociali e politiche. Vuole agire idealmente da ponte tra chi svolge ricerca accademica e scientifica e chi s’interessa alle grandi questioni della sostenibilità ambientale. Offre molteplici chiavi di lettura attraverso il lavoro dei più grandi esperti italiani e mondiali. Tra questi segnaliamo, per la prima volta pubblicati in Italia, i contributi di Tony Allan, ideatore del concetto di “acqua virtuale” e vincitore dello Stockholm Water Prize 2008, e di Arjen Hoekstra, che ha elaborato il concetto di “impronta idrica” e fondato il Water Footprint Network.
In un mondo di risorse limitate porsi degli interrogativi riguardo ai nostri stili di vita e i nostri consumi è non solo auspicabile, ma anche necessario. L’Italia è il terzo paese importatore netto di “acqua virtuale” al mondo. Cosa significa? Perché è importante parlare di acqua e cibo? Per produrre un chilogrammo di pasta secca sono necessari circa 1.924 litri d’acqua. Poco minore è l’impronta idrica di una pizza da 725 grammi: 1.216 litri. Con “acqua virtuale” s’intende proprio questo: la quantità di acqua necessaria a produrre cibi, beni e servizi che consumiamo quotidianamente. Applicando questo concetto, scopriremo che consumiamo molta più acqua di quella che vediamo effettivamente “scorrere” sotto i nostri occhi. Non riusciamo a percepirla come tale semplicemente perché è acqua che letteralmente “mangiamo”, contenuta in maniera invisibile nel cibo che consumiamo e che proviene da ogni parte del mondo.
L’acqua che mangiamo. Cos’è l’acqua virtuale e come la consumiamo
Editore: Edizioni Ambiente
Autori: Antonelli Marta, Greco Francesca
Anno: marzo 2013
Pagine: 288
Prezzo: € 21,25
Fonte: unilibro.it, edizioniambiente.it